Il freddo non viene dal caldo, con buona pace del Rescue Team

Pubblicato da Guido Guidi on Gen 21, 2021

Rescue Team: ogni individuo, gruppo di interesse, media o organizzazione che garantisca rapidità ed efficacia di intervento quando succede qualcosa che, realmente o virtualmente, metta in pericolo una efficace penetrazione del mantra della catastrofe climatica nel comune sentire.

Vaccata infinita: articolo di giornale, meglio se lancio di agenzia copiato e incollato su più giornali, in cui si affronta un tema proposto su letteratura scientifica, non ci si capisce nulla, si fanno numerosi esempi del tutto fuori luogo, giungendo però ad una sana e rassicurante conclusione scontata. In materia di clima, la conclusione è… siamo fritti. Nella stesura ci si avvale di colui/colei che, virgolettato o no, suggerisce la vaccata. In molti casi, infatti, l’argomento è così alto ma allo stesso tempo maldestramente espresso, da poter essere stato solo suggerito e, ovviamente, non compreso, ma pur sempre efficacemente argomentato.


A volte mi chiedo se certi studi siano fatti su commissione, con lo scopo cioè di sostenere tesi preconcette. Poi mi dico di no, che non è possibile, si tratta sempre e solo di coincidenze. Esattamente come quella in cui durante i giorni più freddi dell’anno (sin qui) fa sì che esca un paper largamente ripreso dalla stampa che, malgrado non lo dica affatto, può essere interpretato per attribuire il freddo al riscaldamento globale. Che, nonostante si tratti concettualmente di una capriola del pensiero abbastanza impegnativa, hai visto mai che a qualcuno possa venire in mente che il tempo smentisce il clima. Lo stesso, compresa l’uscita dei paper, sarebbe bello accadesse anche d’estate, quando il solleone corrobora per affinità le tesi del clima del fornaio.

La vaccataPerché fa così freddo? E’ il riscaldamento globale.  ADN Kronos, 13 gennaio 2021.

Il paperDecoupling of the Arctic Oscillation and North Atlantic Oscillation in a warmer climate – Nature Climate Change

Bene, sul lancio di agenzia è necessario stendere un velo pietoso. Fa letteralmente scempio della materia che vorrebbe affrontare e fa venire in mente solo una cosa: è tutto finito. Una bugia ripetuta all’infinito non diventa mai una verità, però ultimamente diventa… giornalismo.

Qualche parola però, la spendiamo sul paper.

Innanzi tutto, quel che è doveroso. Neanche nelle pieghe più recondite, neanche nelle formule più complesse (non ce ne sono affatto), neanche nei dati supplementari più barbosi si fa mai menzione del fatto che… il freddo possa venire dal caldo! Né si fa alcun riferimento, come invece accade nell’articolo, agli eventi di freddo del passato recente in chiave clima che cambia. Anzi, semmai, nel paper si legge che quanto sappiamo che di norma accade sta continuando ad accadere e, bontà loro, potrebbe smettere di accadere solo tra un paio di secoli e a determinate condizioni.

Qui però cade il primo asino. Lo studio simula il comportamento di due ben noti e ben correlati indici atmosferici di cui sono noti gli effetti sul tempo invernale, proiettandone il comportamento al secolo 23, ossia tra il 2200 e il 2300. Avete letto bene, tra 100/200 anni. Se credete, possiamo anche salutarci qui. Ma se proprio vi interessa, sappiate che per farlo viene utilizzato il famigerato scenario RCP8.5 (detto del disastro che verrà), ossia non solo il più distopico e implausibile scenario che sia stato mai partorito, ma anche quello che sulle pagine della stessa rivista che ospita il paper è stato praticamente liquidato.

Ma, non è tutto qui, quello di torturarsi con letteratura alla Mad Max sarebbe comunque un esercizio lecito, per quanto inutile, il problema è, semmai, altrove.

Gli indici di circolazione atmosferica oggetto di questa indagine, hanno ovviamente dimensioni spaziali e temporali. Nella fattispecie, si tratta della NAO (North Atlantic Oscillation) e AO o NAM (Arctic Oscillation o Northern Annular Mode). Sfiorando appena l’argomento, il primo esprime la latitudine a cui si muove la storm-track, cioè dove viaggiano il getto e le perturbazioni che dall’Atlantico si muovono verso l’Europa accompagnate dalle onde planetarie; il secondo descrive l’intensità, calcolata su tutta la circonferenza dell’emisfero nord, delle cosiddette westerlies o correnti zonali, fornendo quindi un’indicazione sulla propensione delle onde planetarie ad essere più o meno sviluppate lungo la longitudine, favorendo così gli scambi d’aria tra le alte e le basse latitudini.

Dal momento che l’indice NAO è una porzione dell’indice AO, i due sono fortemente correlati, almeno lo sono nell’assetto di circolazione che definisce il clima dell’emisfero nord, intendendo con esso tutto il complesso delle dinamiche che lo caratterizzano, compresa l’attività convettiva tropicale, le correnti e le temperature di superficie degli oceani e così via. Attore principale di queste dinamiche, nei mesi invernali, è il Vortice Polare Stratosferico, circolazione depressionaria che occupa tutta la colonna atmosferica e che, in funzione delle dinamiche troposferiche, può essere più o meno intenso, arrivando in alcune situazioni ad essere completamente, sebbene temporaneamente, indebolito o distrutto, fasi queste che hanno poi chiare ripercussioni in troposfera, quindi sugli indici di cui stiamo parlando.

Queste dinamiche quindi si definiscono TST, cioè partono in troposfera, si propagano in stratosfera, tornano con i loro effetti in troposfera. Ora, nel paper, si identifica come limite inferiore della debolezza del Vortice Polare, il valore soglia dell’AO di -1,5 sigma. La letteratura sull’argomento, compresa quella contenuta nella bibliografia del paper (Baldwin e Dunkerton, 2001 – Stratospheric Harbingers of Anomalous Weather Regimes, un lavoro seminale), identifica invece come valore soglia della debolezza del vortice -3 sigma. Tra i due valori c’è una differenza abissale, il primo si raggiunge diverse volte durante la stagione invernale e non è quindi associato né associabile in modo chiaro e diretto alle successive dinamiche troposferiche, men che meno ad eventi estremi. Il secondo è invece quello che porta, praticamente sempre, a quelli che vengono definiti eventi stratosferici, da cui deriva sempre una sostanziale benché temporanea modifica degli assetti della circolazione atmosferica, quindi anche gli eventi estremi. A titolo di esempio, all’evento stratosferico della prima decade di questo mese, si sono associate le nevicate storiche in Spagna e il caldo quasi estivo arrivato tra Grecia e Turchia (due facce della stessa medaglia).

Ora, per quale motivo gli autori abbiano utilizzato per definire gli eventi di vortice debole un valore soglia molto diverso da quello consolidato in letteratura che inoltre non identifica affatto tale debolezza non è dato saperlo, anche perché non c’è traccia di spiegazione nel paper. Sorge il dubbio che il disaccoppiamento che scaturisce poi nelle proiezioni secolari forse non sarebbe venuto fuori se si fossero presi in considerazione solo gli eventi di reale debolezza e/o distruzione del vortice polare. Questa però è una speculazione del tutto personale e come tale va considerata. Resta il fatto che, per dimostrare che in un ipotetico e improbabile clima disfatto dal caldo, queste dinamiche subirebbero una modifica non è stato applicato quanto ampiamente consolidato in letteratura.

Infine, pretendere che una testata giornalistica potesse condurre una analisi del genere è probabilmente troppo, ma almeno porsi il dubbio che, per quanto si possano fare capriole, il freddo non può venire dal caldo, infatti continua a venire dal freddo (lo dice lo stesso paper), questo sì, sarebbe legittimo.

Ma non sarebbe da Rescue Team.

Enjoy.

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