La COP 26 ed il “greenwashing”

Pubblicato da Donato Barone il 9 Novembre 2021

Uno dei principali problemi che la COP 26 sta affrontando, è quello del “greenwashing”.

Con questo neologismo si intende definire la pratica, ormai consolidata, con cui i politici e non solo, a parole si dichiarano favorevoli alle scelte ambiziose, per contenere l’incremento medio delle temperature globali entro 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale, ma nei fatti impediscono quelle decisioni che dovrebbero consentire il raggiungimento di questi obbiettivi. In termini molto più efficaci G. Thunberg ha definito questo atteggiamento “bla, bla, bla”.

Che il problema sia grosso, lo dimostra la richiesta di L. Tubiana che molti ricorderanno essere stata una delle principali artefici dell’Accordo di Parigi: è necessario che il Segretario generale dell’ONU crei una task-force per poter contrastare efficacemente il fenomeno!

Dopo aver scritto per anni che le COP altro non sono che dei palcoscenici su cui si esibiscono i politici e che i documenti che vengono via via redatti, sono solo un libro delle buone intenzioni, ora sembra che se ne accorgano anche altri. Possibile che Tubiana, finora, abbia creduto che tutto ciò che si scriveva nei documenti delle COP, avesse un seguito nel mondo reale? Possibile che ella abbia creduto che il “suo” Accordo di Parigi, potesse effettivamente influire sulle emissioni globali?

Quando leggo queste cose tendo ad arrabbiarmi: ho l’impressione che vogliano prendermi in giro!

Comunque bando alle ciance e veniamo al sodo. La plenaria informale prevista per sabato sera e, poi, annullata all’ultimo momento e rinviata a lunedì mattina, cioè oggi, si è tenuta e, come c’era da aspettarsi, ha messo a nudo le gravi difficoltà che caratterizzano questo segmento della Conferenza delle Parti.

Andando a leggere i sunti delle dichiarazioni dei partecipanti alla COP 26 alla plenaria, sembra di leggere un “cahier de doléances” di vetusta memoria.

Il rappresentante della Guinea, per conto del G77, l’associazione che raggruppa 77 Paesi in via di sviluppo, si è lamentato del ritardo della finanza rispetto agli impegni presi nel corso delle varie COP: senza soldi non si cantano messe, dicevano i nostri vecchi e il senso del discorso del rappresentante della Guinea è lo stesso. Non si potrà mai parlare di successo della COP 26, se non vengono quantificati e soddisfatti i bisogni dei Paesi in via di sviluppo.  Egli ha anche criticato la tendenza dei Paesi industrializzati, a restringere il campo di impiego delle risorse trasferite ai Paesi in via di sviluppo. Della serie dateci i soldi e non vi preoccupate, tanto a spenderli ci pensiamo noi.

Non molto diverso il tenore dell’intervento del rappresentante di Antigua e Barbuda che ha parlato a nome di AOSIS, il gruppo di 44 piccoli stati insulari. Nell’intervento è stato stigmatizzato il trionfalismo degli annunci della prima settimana, in quanto, a suo avviso, nessuno si è preoccupato di verificare che gli impegni presi sul tema del blocco della deforestazione, della riduzione delle emissioni di metano e del blocco dei finanziamenti alle centrali a carbone, fossero in linea con l’obbiettivo di 1,5°C. E, citando un rapporto della stessa UNFCCC, ha messo il dito nella piaga: esiste un divario immenso tra impegni presi ed ambizioni per tenere a portata di mano l’obbiettivo di 1,5°C. Va da se che, però, la parte del leone nel discorso del rappresentante dell’AOSIS lo hanno avuto gli aspetti finanziari: oltre ad onorare l’impegno dei 100 miliardi di dollari annui fino al 2025, a giudizio del diplomatico, bisogna prevedere altri soldini aggiuntivi e non sostitutivi, da iniettare nel meccanismo di compensazione delle perdite e dei danni. Altra lamentela del delegato riguarda l’organizzazione dei lavori: ben quattro sessioni hanno avuto inizio senza la presenza dei rappresentanti di AOSIS.

Il rappresentante del Bhutan ha rincarato la dose, sottolineando che esiste un divario enorme tra ciò che si dice in pubblico e ciò che sta accadendo nelle sale, dove si svolgono i negoziati.  Stando a quello che è scritto nelle bozze dei documenti, le emissioni di diossido di carbonio aumenteranno fino al 2030, invece di ridursi del 45%, come prevede la tabella di marcia, per contenere l’incremento delle temperature globali entro 1,5°C rispetto all’epoca pre-industriale. Non è mancata, infine, la solita richiesta di onorare l’impegno circa i 100 miliardi di dollari annui e l’incremento della somma dopo il 2025.

Potrei continuare con il Perù, il Gabon, la Bolivia ed altri interventi, ma rischierei di ripetermi. Se ne è accorto anche il Presidente dell’Assemblea che ha chiesto ai relatori interventi più brevi.

Qualora ce ne fosse bisogno, questa brevissima sintesi rappresenta bene ciò che sta accadendo a Glasgow: da una parte si chiedono impegni rafforzati in termini di riduzione delle emissioni e contributi economici (NCD) a carico dei Paesi ricchi ed a favore di quelli poveri, dall’altra si resiste strenuamente e si cerca di rinviare tutto a tempi migliori.

Uno dei protagonisti di questo gioco perverso sembra che sia l’Arabia Saudita: sta facendo di tutto per rimandare alle calende greche ogni forma di accordo. E vorrei vedere il contrario! Avete mai visto un tacchino che festeggi il Natale?

Greta Thunberg si è resa conto del gioco perverso in atto ed ha deciso di abbandonare Glasgow, per evitare di perdere ancora più tempo scuola, di quanto ne abbia perso fino ad oggi: il gioco non vale la candela. Personalmente, da uomo di scuola e da padre, plaudo a questa sua decisione: credo che abbia capito anche lei che, oltre le chiacchiere, a Glasgow non succederà nulla.

Alla fine il Presidente della COP 26 ha dettato l’agenda per questa settimana. Fino a martedì continueranno gli incontri tecnici, successivamente la parola passerà ai ministri e, per venire incontro alle richieste dei Paesi in via di sviluppo, si sono individuate delle coppie di ministri che dovranno guidare le trattative. Il criterio adottato per individuare queste coppie, è stato quello della parità di genere e di provenienza: un rappresentante dei Paesi sviluppati affiancherà uno di quelli in via di sviluppo, cercando di rispettare un equilibrio di genere. Non finirò mai di stupirmi, quando leggo i resoconti delle decisioni assunte dai presidenti delle assemblee multilaterali, gestite dall’ONU: badano ai dettagli più insignificanti, ma trascurano la sostanza delle cose. Mah!

Per i più curiosi queste saranno le coppie di ministri e gli argomenti che le sottocommissioni (alias corpi sussidiari) dovranno affrontare:

  • articolo 6: Norvegia e Singapore;
  • tempi di attuazione degli accordi: Svizzera e Rwanda;
  • adattamento: Spagna e Maldive;
  • trasparenza nella valutazione del mantenimento degli impegni assunti: Nuova Zelanda ed Antigua e Barbuda;
  • perdite e danni: Lussemburgo e Giamaica;
  • iniziative per mitigare il cambiamento climatico: Grenada e Danimarca;
  • quantificazione impegni finanziari: Egitto e Svezia;
  • collegamenti: Costa Rica e Regno Unito.

Nel frattempo i lavori languono: oggi lunedì doveva essere il giorno delle perdite e dei danni, ma due ore fa le negoziazioni ancora non erano iniziate. Il presidente della COP, Alok Sharma, conta di completare i lavori entro venerdì, ma penso che ci creda solo lui: stando ai ritmi con cui si svolgono i lavori, sembra ormai certo che sforeremo la scadenza del 12 novembre. L’unica cosa che ancora non sappiamo è di quanto.

E per finire un po’ di cronaca spicciola. Oggi a Glasgow è arrivato il presidente emerito degli USA B. Obama ed è subito esplosa una polemica con la Cina e con i giovani presenti a Glasgow. Ad aprire le danze è stato il capo delegazione cinese che ha definito illusorie le pretese dei delegati, di assumere impegni tali, da contenere le temperature entro i 2°C previsti dall’Accordo di Parigi. Meglio sarebbe, secondo lui, concentrarsi, nei pochi giorni che restano, su impegni concreti e realistici piuttosto che su impegni a lungo termine, certamente irraggiungibili. Ha sottolineato, infine, che la Cina contrariamente alla narrativa occidentale, sta facendo moltissimo per ridurre le emissioni e sta concretamente lavorando per ridurre la quantità di energia prodotta da centrali a carbone, accelerando su eolico e solare. Egli prevede di sorpassare a breve gli USA in questa particolare corsa.

Non si è fatta attendere la replica di Obama: le tensioni geopolitiche devono restare fuori dalla COP ed i delegati devono restare concentrati sulle tematiche climatiche e non su quelle economiche e strategiche. In questo ha fatto eco a quanto disse il Presidente Biden durante le riunioni di vertice, con cui si è aperta la COP 26.

A proposito degli USA ho ripetutamente scritto in passato che ero curioso di vedere l’atteggiamento al tavolo negoziale degli Stati Uniti sotto la presidenza Biden. Onestamente non è cambiato nulla rispetto al passato: i negoziatori americani partecipano attivamente a tutte le iniziative ed a tutti i lavori, ma stanno ben attenti a non assumere impegni concreti. Si limitano a fare grandi annunci, ma, sotto, sotto, restano sempre a margine di ogni accordo vincolante (ammesso e non concesso che ve ne siano).

Altro aspetto da sottolineare, riguarda lo scontro tra Obama ed i giovani presenti a Glasgow. Del rifiuto di G. Thunberg di incontrarlo ho già implicitamente parlato a proposito della sua decisione di partire da Glasgow. L’altra attivista di punta del movimento giovanile, Vanessa Nakate, lo ha affrontato (virtualmente) a muso duro. In primis si è lamentata per non aver avuto accesso alla sala in cui egli avrebbe parlato (l’accesso era contingentato per ovvi motivi) e, in secondo luogo gli ha rinfacciato, di non aver onorato le promesse fatte 12 anni fa e, quindi, di aver provocato, con la sua inazione, la morte di migliaia di africani. Misero destino per il vincitore del Nobel per la pace assegnatogli sulla fiducia all’inizio del suo primo mandato.

ClimateMonitor


I canali dei social media stanno limitando la portata di Megachiroptera: Twitter, Facebook ed altri social di area Zuckerberg hanno creato una sorta di vuoto cosmico intorno alla pagina ed al profilo mostrando gli aggiornamenti con ritardi di ore.

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