Tassonomia e non solo

Pubblicato da Donato Barone il 9 Febbraio 2022

Le transizioni energetiche sono lunghe e costose. Non lo dico io, così, per partito preso, ma lo sostiene chi per mestiere si occupa di queste cose: il professore emerito dell’Università di Manitoba e massimo esperto di problemi energetici a livello mondiale, Vaclav Smil.

Lo disse nel lontano 2014 e io pubblicai, qui su CM, un l’articolo in cui commentavo una sua intervista, rilasciata a Scientific American e che suscitò le solite reazioni sdegnate di chi, sosteneva e sostiene, che la transizione energetica dalle fonti energetiche fossili a quelle rinnovabili è cosa buona, giusta e deve essere fatta subito, senza “se” e senza “ma”.

Il prof. Smil si limitava a fare delle analisi statistiche delle trasformazioni energetiche del passato e concludeva che una transizione energetica inizia quando una nuova fonte di energia riesce a soddisfare almeno il 5% del fabbisogno energetico globale e dura non meno di sessant’anni circa. Nel 2014 la percentuale delle energie rinnovabili nel mix energetico mondiale non raggiungeva neanche il 4% e non credo che la situazione sia cambiata nel corso degli ultimi otto anni. Ammesso, però, che quel 4% scarso sia diventato un 5% abbondante, saranno necessari almeno un’altra sessantina d’anni per completare la transizione energetica globale.

Nel frattempo bisogna ridurre fortemente le emissioni di CO2 e, quindi, bisogna spingere molto sulle rinnovabili, altrimenti addio sogni di gloria. L’Unione Europea ha fatto di questa battaglia uno dei suoi principali obiettivi e sta spingendo in modo deciso per raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050, stabilendo obiettivi intermedi molto ambiziosi (troppo secondo me). A meno che non si cominci a barare e, credo, che così andrà a finire. La neutralità climatica si può raggiungere, infatti, in due modi: diminuire le emissioni oppure compensarle. E nella compensazione si annidano i problemi, come ben sanno coloro che seguono le Conferenze delle Parti e tutte le polemiche che caratterizzano le discussioni sul conteggio delle emissioni, il mercato del carbonio e via cantando.

Tutto ciò premesso, vediamo un po’ cosa centra la tassonomia con tutto questo. Se si prende un qualunque vocabolario, si legge che il termine “tassonomia” si utilizza in botanica e zoologia per indicare la classificazione delle specie. Si utilizza anche in linguistica ed in altre branche dello scibile, ma in modo più sfumato, sempre per indicare una classificazione. Ultimamente ho scoperto che il termine è utilizzato anche dall’UE per definire la classificazione degli investimenti che possono essere considerati sostenibili dal punto di vista ambientale. In quest’elenco figurano, ovviamente, anche quelli energetici, ma nelle oltre duecento pagine del documento che costituisce la lista, compaiono quasi tutte le attività umane. Nel seguito mi occuperò solo della sezione relativa all’energia.

Da un punto di vista pratico se una particolare fonte energetica non è inserita nella tassonomia europea, non solo non può accedere ai finanziamenti comunitari, ma vengono disincentivati anche i finanziamenti privati. La nuova tassonomia europea fu approvata nel 2020 e nella norma istitutiva fu prevista la stesura di diverse norme delegate che dovevano rendere concreto il quadro generale delineato dalla norma “madre”. Detto in altri termini, la norma istitutiva della tassonomia delinea il quadro generale, le norme delegate hanno lo scopo di definire il quadro da un punto di vista operativo.  Nell’aprile del 2021 la Commissione approvò una prima versione delle norme delegate e in tale documento compaiono solo le energie rinnovabili classiche: solare, eolico, geotermico, biogas, ecc..

La normativa non fu universalmente condivisa in quanto alcuni Paesi europei, in primo luogo la Francia, ma anche quelli dell’Europa orientale, avrebbero voluto che nella lista delle fonti energetiche “buone” comparisse anche il nucleare. In questo contesto si collocano anche le prese di posizione del ministro Cingolani che tanto scalpore suscitarono in Italia e quelle della Polonia che non vedeva come poter raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, visto che quasi tutta l’energia elettrica prodotta, deriva da fonte fossile. Il dibattito che ne seguì ebbe un risvolto anche in occasione dell’ultima COP e, in quella circostanza, la Francia fece sentire alta la sua voce a favore di una revisione della tassonomia europea.

Giungiamo, così, alla fine del 2021, allorché la Commissione Europea decise di modificare la tassonomia, proponendo di inserire tra le fonti “sostenibili” anche il metano ed il nucleare. Apriti cielo! Come era facilmente immaginabile tutte le associazioni ambientaliste, i gruppi di pressione socio-economici maggiormente politicizzati e tutto l’ambaradan propagandistico che ruota attorno a questo mondo, scesero sul piede di guerra, per impedire questa modifica. Anche negli ambienti politico-economici europei c’è stata una parvenza di dibattito che ha visto contrari alla modifica Paesi come la Spagna, la Germania e l’Austria. Nonostante ciò, agli inizi di febbraio di quest’anno, la Commissione ha approvato definitivamente la modifica ed ora gas naturale e nucleare sono stati inseriti nella lista delle attività che possono essere finanziate, in quanto “sostenibili”.

Si tratta, comunque, di un inserimento temporaneo. Il gas naturale potrà accedere ai finanziamenti solo fino alla fine del 2030 ed a condizione che l’impianto realizzato emetta meno di 270 grammi di CO2 equivalente per kWh. Il nucleare potrà accedere ai finanziamenti, invece, fino al 2045, a condizione che il progetto dell’impianto preveda un piano per la gestione delle scorie radioattive e per lo smantellamento dell’impianto alla fine della sua vita utile. Nonostante il fatto che la modifica della tassonomia sia temporanea e non definitiva (devono pronunciarsi il Parlamento europeo ed il Consiglio, ma, in quest’ultimo caso, servono maggioranze che ora come ora non si vedono) la cosa importante è che si è rotto il tetto di cristallo.

Alla base di questa modifica, secondo me epocale, del punto di vista della Commissione Europea credo che esistano motivazioni che vanno ben al di là delle richieste di Francia e Polonia. Secondo il Commissario europeo Paolo Gentiloni che ho ascoltato poche ore prima che iniziassi a scrivere questo articolo, intervistato da Lucia Annunziata durante la trasmissione televisiva “Mezz’ora in più” di domenica 6 febbraio 2022, la transizione energetica verso le rinnovabili sarà lunga, per cui è necessario utilizzare delle fonti energetiche che, pur non rappresentando le fonti di energia del futuro, consentano agli Stati che ne volessero usufruire, di disporre di fonti energetiche che possano sostituire il carbone. Molto interessante mi è parsa una considerazione del Commissario: bisogna uscire dal carbone, ma non lo si può fare costruendo centrali a lignite, come ha fatto la Germania.

Alla decisione non è stata estranea la forte impennata dei prezzi dell’energia ed il rigurgito di inflazione che sta cominciando a preoccupare l’intera Europa e non solo. Il dato globale dell’inflazione dell’area euro (5,1%) nasconde molte differenze: si va dal 6.6% della Spagna, al 2,8% del Portogallo, passando per il 5,7% della Germania, il 4,7% dell’Italia ed il 3,4% della Francia. La voce che maggiormente incide su questi dati, è il prezzo dell’energia, aumentato di circa il 28% in un anno. Non sono un economista, ma è un caso che la Francia che produce una parte consistente della sua energia elettrica da fonte nucleare, abbia un tasso di inflazione molto più basso  della media europea? O che l’Italia che si approvvigiona per il 30% del suo fabbisogno di gas dalla Russia a prezzi particolarmente vantaggiosi, come ha puntualizzato il Presidente Putin, abbia un tasso d’inflazione superiore a quello della Francia, ma inferiore a quello della Germania?

Sono anni che dalle pagine di questo blog, si cerca di spiegare che la transizione energetica verso le rinnovabili deve essere fatta con gradualità ed aspettando che le tecnologie maturino. E sono anni che subiamo gli improperi di quelli che ci accusano di essere al soldo delle multinazionali del fossile, di combattere una battaglia di retroguardia, di non avere a cuore gli interessi dei nostri nipoti, di essere dei vecchi bacucchi, ecc., ecc.. Oggi ci rendiamo conto che le nostre preoccupazioni sono condivise, almeno in parte, anche da altri che contano molto più di noi. Personalmente non ho nulla contro le fonti energetiche rinnovabili: sarei il primo a sostenerle se fossero convenienti economicamente, sicure e costanti. Purtroppo esse non sono nulla di tutto ciò e, soprattutto, non sono mature per sostituire le fonti energetiche tradizionali. Come sosteneva il prof. V. Smil nel 2014 e come è vero anche ora.

ClimateMonitor


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