Sabotaggi

Pubblicato da Massimo Lupicino il 22 Marzo 2022

In tempi non sospetti (o meglio, meno sospetti di questi) il Guardian lanciò un allarme che cadde sostanzialmente nel vuoto. A  lanciarlo non fu un personaggio qualsiasi: si trattava infatti del segretario della NATO Fogh Rasmussen che dichiarava senza mezzi termini che la Russia si serviva di ONG “verdi” per promuovere agende ambientaliste in Europa.

Le accuse di Rasmussen (immediatamente posteriori alla rivoluzione ucraina di Maidan) caddero naturalmente nel vuoto della distrazione interessata dell’apparato mediatico europeo.

Eppure Rasmussen era stato molto dettagliato nella sua disamina: ONG finanziate dalla Russia si sarebbero messe in moto per protestare contro lo sviluppo degli idrocarburi “shale” della Gran Bretagna. Ma che interesse avrebbe avuto la Russia nel sobillare gli ambientalisti inglesi? Semplice: incrementare la dipendenza dal gas russo, con inevitabili ripercussioni politiche sul posizionamento internazionale della monarchia britannica.

La campagna ambientalista ebbe naturalmente successo, e i giacimenti shale rimasero solo sulla carta, o meglio, sotto terra. E l’Inghilterra puntò decisamente sul nucleare per garantirsi approvvigionamenti energetici sicuri e continui nel tempo (es: la centrale da 3.2 GWe in costruzione ad Hinkley Point), e per non dover dipendere dalle forniture di gas della storicamente odiatissima Russia.

Fatto sta, le accuse di Rasmussen sono state ripescate proprio adesso, a 8 anni da Maidan e incidentalmente proprio all’apice del contrasto tra la Russia e l’Occidente, con le sorti alternatamente sfortunate dell’Ucraina quasi a dettare il timing di queste rivelazioni di nefaste influenze e sofisticati sabotaggi.

Benedetta Russia

Certo il deterioramento dei rapporti tra Europa e Russia iniziato proprio con gli eventi ucraini del 2014 ha sicuramente avuto qualche risvolto positivo. Se non altro, nell’aprire degli squarci in una certa narrativa che è sempre stata appannaggio dei megafoni del politically correct al servizio delle istanze della finanza globalista.

Se Rasmussen e altri hanno avuto il merito di aprire uno spiraglio sul valore geopolitico di certe scelte “ambientaliste”, c’è anche chi lo ha fatto con riferimento ad un altro tema-chiave dell’agenda globalista: quello delle migrazioni di massa verso l’Europa. Poco tempo fa, per esempio, l’accreditata rivista americana Foreign Policy ha messo in evidenza il possibile ruolo di Russia e Bielorussia nell’agevolare l’immigrazione clandestina di iracheni ed afghani in Europa allo scopo di “destabilizzarla”.

Ed è sicuramente una bella scoperta per i media mainstream, quella dell’utilizzo dell’immigrazione clandestina di massa verso l’Europa come un’arma per indebolire gli interessi continentali. Una storia ben diversa dalla balla ridicola predicata universalmente per decenni sulle ragioni “climatiche” di tali migrazioni, persino in ambienti cattolici.

E sarebbe stato sicuramente interessante, se si fosse utilizzato lo stesso metro con riferimento alle migrazioni epocali innescate dalle “primavere arabe”, inclusa la sciagurata avventura libica, o il bagno di sangue siriano. Ma è un esercizio che difficilmente si farà su Foreign Policy, o sui nostri giornaloni, considerando chi erano gli ispiratori di quelle “primavere”.

Cui prodest?

Che si parli di migrazioni di massa che minano la coesione sociale europea, o di campagne verdi che la mettono in ginocchio come potenza manifatturiera, resta il fatto che i potenziali beneficiari di certe destabilizzazioni sono diversi.

La Cina, per esempio, ha sempre visto nell’ambientalismo-babbeo occidentale una ottima occasione per piazzare i suoi prodotti “green” sostenendoli con pratiche commerciali di dumping sovvenzionate direttamente dallo Stato. Ed ha sempre visto con interesse la perdita di competitività manifatturiera europea, agendo per altro in modo diametralmente opposto a quello predicato dagli euro-legistlatori: mentre l’Europa pretendeva di chiudere con gli idrocarburi, la Cina ne faceva man bassa.

Per quanto riguarda gli USA, la lista di vantaggi economici derivanti dal suicidio green europeo è tutta nella perdita di competitività delle aziende europee, legata a doppio filo con la futura crescente dipendenza dalle forniture energetiche americane. Dipendenza provvidenzialmente acuita dalla sciagurata avventura militare russa e associata al concomitante (ed auspicato) sabotaggio di pericolose “Vie della Seta” che minacciano di avvicinare troppo il Mediterraneo al Pacifico: il vero incubo a stelle e strisce dalla metà del ‘900 ad oggi.

Tutti sapevano, niente è stato fatto

Può certamente essere comodo, anche in un’ottica generale di demonizzazione mediatica del ritrovato nemico, attribuire qualsiasi disgrazia europea alla nefasta influenza dell’orso russo. Per quanto tali accuse abbiano sicuramente un fondamento e una loro intrinseca ragionevolezza.

Il problema, però, sta altrove. Ammesso che in Europa fossero a conoscenza di certe agende di destabilizzazione, perché non è stato fatto niente?

Perché si è lasciato che l’assedio delle ONG verdi a Bruxelles andasse avanti in questi ultimi 8 anni, e anzi si intensificasse in un crescendo inarrestabile sostenuto dai media adoranti, e dagli applausi commossi delle maggiori istituzioni politiche e finanziarie? Dal Fondo Monetario Internazionale alla BCE, dal Parlamento Europeo alla Corte Europea di Giustizia? Sono tutti asset russi? Sono tutti infiltrati da pericolosi minion inviati da Putin per distruggerci?

E come mai, a dispetto di accuse gravissime da parte di organi come la Corte dei Conti Europea che denunciava l’opacità dei finanziamenti miliardari di Bruxelles alle ONG, in Europa non si è mosso un dito per rendere il sistema più trasparente e limitare il potere delle lobby verdi? Forse perché quelle stesse lobby restituivano un tornaconto elettorale gradito alle maggioranze politiche del momento?

Come mai si è piuttosto preferito accanirsi per 5 anni contro paesi dell’Unione rei di aver cercato di limitare maldestramente con leggi nazionali proprio l’influenza delle ONG così care a Bruxelles? È davvero così russofila la Corte di Giustizia Europea?

E che dire della legislazione demenziale europea sul mercato delle quote di CO2 che nel giro di pochi mesi sta letteralmente disintegrando (nel silenzio assordante dei media) decine di migliaia di posti di lavoro costringendo alla resa tutte le industrie energivore del continente? Dalla chimica alla raffinazione, dalla meccanica alla generazione elettrica?

È stata la Russia a sussurrare nelle orecchie del legislatore europeo l’idea più idiota mai formulata in duemila e cinquecento anni di pensiero occidentale: tassare il cibo delle piante per demolire in pochi mesi 2 secoli di sviluppo industriale? O piuttosto certi mondi finanziari interessati ad aprire un nuovo fronte di speculazione immateriale a spese della ricchezza materiale dei cittadini europei?

Guardiamoci allo specchio

E allora, quando sentiamo parlare di “sabotaggi dell’interesse europeo” guardiamoci prima di tutto allo specchio. E chiediamoci se al netto della fog of war di questo sfortunato periodo storico, non ci sia qualche nostra responsabilità nella serie impressionante di disastri socio-economici in cui siamo incappati ben prima dell’inizio della guerra in Ucraina. Grazie al neo-costruttivismo stalinistoide dei profeti del “gran reset” e alle loro scalcinate agende green.

Ché è facile accusare di sabotaggio la scuderia avversaria se ogni notte parcheggiamo la nostra Formula1 nel loro garage, magari lasciando sul sedile qualche terabyte di documenti di progettazione. Se davvero l’Europa vuole riscoprire il piacere di fare i propri interessi, cominci piuttosto col fare pulizia a casa propria.

Cominciando proprio dall’accampamento dei 30,000 lobbisti insediati in pianta stabile a Bruxelles. Che si tratti o meno di asset russi o di altre potenze economiche rivali, di sicuro le loro meravigliose campagne “verdi” non hanno prodotto che leggi demenziali, distruzione di posti di lavoro, conflitti sociali, esplosioni della bolletta energetica, incremento-monstre della spesa pubblica, indebitamento trilionario per generazioni a venire, e dipendenza geopolitica da potenze oggi nemiche.

Ma ricchi profitti per le speculazioni finanziarie “ESG”. E insperati regali geo-politici per i nostri rivali internazionali.

Guardiamoci allo specchio, diamoci degli imbecilli da soli, e iniziamo a porre rimedio a 20 anni di disastri in materia di politica energetica europea. E diamo pure la colpa di tutto alla Russia, se questo può servire ad evitare le forche caudine di una pubblica umiliazione di fronte ai cittadini e soprattutto agli occhi degli elettori.

Ma si faccia. Da subito. Ammesso che non sia già troppo tardi.

ClimateMonitor


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