Mille anni di temperatura estiva nell’arco alpino


  • Le temperature globali di Nettuno si sono inaspettatamente raffreddate negli ultimi 20 anni
  • Mille anni di temperatura estiva nell’arco alpino
  • Temperatura e pressione alla base antartica Amudsen-Scott (South Pole)
  • Un bagliore solare Major X1.1 erutta dalla regione attiva 2994
  • Nowcasting Solare: 17 Aprile 2022

Le temperature globali di Nettuno si sono inaspettatamente raffreddate negli ultimi 20 anni


Immagine in evidenza: ESO/P. Weilbacher (AIP)/NASA, ESA e MH Wong e J. Tollefson (UC Berkeley)

Source: Saturday, April 16, 2022; articolo di The Watchers

I ricercatori che hanno utilizzato telescopi terrestri per tracciare le temperature atmosferiche di Nettuno per un periodo di 17 anni hanno riscontrato un sorprendente calo delle temperature globali del pianeta seguito da un drammatico riscaldamento al suo polo sud.

L’autore principale dello studio pubblicato questa settimana su  The Planetary Science Journal , Michael Roman, ha affermato che il cambiamento che hanno scoperto è stato inaspettato. Roman è un ricercatore associato post-dottorato presso l’Università di Leicester, nel Regno Unito.

“Dato che abbiamo osservato Nettuno all’inizio dell’estate meridionale, ci aspettavamo che le temperature crescessero lentamente, non più fredde”, ha aggiunto Roman.

Una stagione a Nettuno dura circa 40 anni, con un anno Nettuno che dura 165 anni terrestri. Nell’emisfero australe di Nettuno è estate dal 2005 e gli astronomi erano ansiosi di vedere come cambiavano le temperature dopo il solstizio d’estate australe.


L’evoluzione delle immagini termiche riprese da Nettuno con lo strumento VISIR del VLT.
Le immagini, scattate tra il 2006 e il 2021, mostrano Nettuno che si sta gradualmente raffreddando, prima di un drammatico riscaldamento del suo polo sud negli ultimi anni. Credito: ESO/M. Roman

Gli autori dello studio hanno esaminato quasi 100 immagini di Nettuno all’infrarosso termico, catturate in un periodo di 17 anni, per mettere insieme le tendenze generali della temperatura del pianeta in modo più dettagliato che mai.

Questi dati hanno mostrato che, nonostante l’inizio dell’estate australe, la maggior parte del pianeta si era gradualmente raffreddata negli ultimi due decenni. La temperatura media globale di Nettuno è scesa di 8 °C (46.4℉) tra il 2003 e il 2018. 

Gli astronomi sono stati quindi sorpresi di scoprire il drammatico riscaldamento del polo sud di Nettuno durante gli ultimi due anni delle loro osservazioni, quando le temperature sono aumentate rapidamente di 11°C (51.8℉) tra il 2018 e il 2020. Sebbene il caldo vortice polare di Nettuno sia noto da molti anni , un riscaldamento polare così rapido non è mai stato osservato in precedenza sul pianeta.


L’immagine del pianeta Nettuno a sinistra è stata ottenuta durante i test della modalità di ottica adattiva Narrow-Field dello strumento MUSE sul Very Large Telescope dell’ESO. L’immagine a destra è un’immagine comparabile del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA.
Si noti che le due immagini non sono state scattate contemporaneamente, quindi non mostrano caratteristiche di superficie identiche.
Credito: ESO/P. Weilbacher (AIP)/NASA, ESA e MH Wong e J. Tollefson (UC Berkeley)

“I nostri dati coprono meno della metà di una stagione di Nettuno, quindi nessuno si aspettava di vedere cambiamenti grandi e rapidi”, ha affermato il coautore Glenn Orton, ricercatore senior presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) del Caltech negli Stati Uniti.


Questo composito mostra le immagini termiche di Nettuno scattate tra il 2006 e il 2020. Le prime tre immagini (2006, 2009, 2018) sono state scattate con lo strumento VISIR sul Very Large Telescope dell’ESO mentre l’immagine del 2020 è stata catturata dallo strumento COMICS sul telescopio Subaru ( VISIR non era operativo a metà della fine del 2020 a causa della pandemia).
Dopo il graduale raffreddamento del pianeta, il polo sud sembra essere diventato drammaticamente più caldo negli ultimi anni, come mostrato da un punto luminoso nella parte inferiore di Nettuno nelle immagini del 2018 e del 2020. Credit: ESO/M.
Romano, NAOJ/Subaru/COMICS

Poiché Nettuno si trova a circa 4,5 miliardi di km (2,9 miliardi di miglia) ed è molto freddo (la temperatura media raggiunge circa -220 °C (-364 °F), quindi misurare la sua temperatura dalla Terra non è un compito facile.

“Questo tipo di studio è possibile solo con immagini a infrarossi sensibili provenienti da grandi telescopi come il Very Large Telescope (VLT) che possono osservare chiaramente Nettuno, e queste sono disponibili solo negli ultimi 20 anni circa”, ha affermato il coautore Leigh Fletcher , professore all’Università di Leicester.

Poiché le variazioni di temperatura di Nettuno erano così inaspettate, gli astronomi non sanno ancora cosa potrebbe averle causate.

Potrebbero essere dovuti a cambiamenti nella chimica stratosferica di Nettuno, a modelli meteorologici casuali o persino al ciclo solare.


Questo composito mostra le immagini termiche di Nettuno scattate tra il 2006 e il 2020. Le prime tre immagini (2006, 2009, 2018) sono state scattate con lo strumento VISIR sul Very Large Telescope dell’ESO mentre l’immagine del 2020 è stata catturata dallo strumento COMICS sul telescopio Subaru ( VISIR non era operativo a metà della fine del 2020 a causa della pandemia).
Dopo il graduale raffreddamento del pianeta, il polo sud sembra essere diventato drammaticamente più caldo negli ultimi anni, come mostrato da un punto luminoso nella parte inferiore di Nettuno nelle immagini del 2018 e del 2020. Credit: ESO/M. Romano, NAOJ/Subaru/COMICS

Saranno necessarie ulteriori osservazioni nei prossimi anni per esplorare le ragioni di queste fluttuazioni.

I futuri telescopi terrestri come l’Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO potrebbero osservare cambiamenti di temperatura come questi in modo più dettagliato, mentre il telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA fornirà nuove mappe senza precedenti della chimica e della temperatura nell’atmosfera di Nettuno.

Riferimento:

Variazione sub-stagionale nell’emissione del medio infrarosso di Nettuno dall’imaging a terra – Roman et al. – The Planetary Science Journal – 2022 – arXiv:2112.00033v2


Mille anni di temperatura estiva nell’arco alpino


Source: 16 Aprile 2022; pubblicato da Franco Zavatti

Grazie al nostro padrone di casa sono venuto a conoscenza di un lavoro di 12 anni fa, Corona et al., 2010, nel quale si produce una serie di temperature estive (JJA) derivate da misure dendrologiche da 38 siti lungo tutto l’arco alpino (mappa). Gli alberi considerati sono larici (cerchi rossi nella mappa) e pini (triangoli gialli).

A valle di tutte le considerazioni dendrologiche e della curva di calibrazione su cui non mi pronuncio, gli autori producono una serie di temperatura (anomalia, quadro a) estiva delle Alpi per la quale non sono stato in grado di ottenere i valori numerici; pur rendendomi conto delle difficoltà di trattare una curva così densa e oscillante, non ho potuto fare altro che discretizzare e digitalizzare la figura con un valore ogni 3 pixel (circa un valore ogni 5 anni). Dai 1000 anni coperti dalla serie derivano allora i circa 200 punti (198 per la precisione) che mostro in figura 1, insieme ad un filtro di finestra 50 anni (10 punti) e con lo spettro Lomb dominato da una periodicità principale di circa 700 anni.


Fig.1: Serie digitalizzata della temperatura estiva (JJA) derivata, per l’intero arco alpino, dagli anelli di accrescimento degli alberi (Larice e Pino). Anche senza sottolineature particolari si nota la presenza del periodo caldo medievale (950-1250) e della piccola era glaciale (1350-1850). Nei quadri in basso, lo spettro Lomb della serie.

Vorrei fosse chiaro che ogni considerazione successiva si basa su questa digitalizzazione, una delle numerose possibilità che il grafico prodotto dagli autori permette (anche allo stesso digitalizzatore, in tempi successivi).

Ciò detto, da figura 1 si osservano oscillazioni successive, sopra e sotto la linea rossa del fit lineare, che saranno dettagliate nella successiva figura 2.

Lo spettro è dominato da un’ampia oscillazione con massimo attorno a 700 anni; si osserva poi un netto massimo a 84 anni, preceduto da periodi di 200-250 anni per la parte di bassa frequenza dello spettro. Le alte frequenze (periodi più brevi) mostrano una serie di “sussulti” fra 70 e 50 anni, tipici delle grandi oscillazioni oceaniche e atmosferiche (diciamo, relativamente alle Alpi, AMO e NAO ma con attenzione anche alla lontana PDO). Dopo un periodo di oscillazioni di bassa potenza, si osserva un massimo, un po’ isolato dagli altri e non molto forte ma ben visibile, a 18.4 anni, seguito da tutta una serie di picchi spettrali “Enso-like” tra 2 e 10-12 anni.

Il picco “lunare” a 18.4 anni ci ricorda che questa serie di temperatura deriva dalla dendrologia per la quale sono stati osservati diversi casi sempre legati alle precipitazioni e, in generale, “all’acqua”. Come al solito, sono molto prudente nell’attribuire alla Luna i massimi tra 18 e 20 anni e mi limito ad aggiungere questo nuovo esempio all’elenco esistente.

Per la serie di picchi simil-Niño che troviamo quasi identica nella grande maggioranza dei dati che coprono gli intervalli temporali opportuni, non mi sento di escludere una reale influenza delle teleconnessioni legate all’oscillazione del Pacifico equatoriale (ENSO), anche sostenuto dalla presenza importante di questi massimi, alla quale ho appena accennato.

La figura 2 è una versione più complessa del quadro superiore di figura 1 a cui ho associato una serie di bande colorate a sottolineare periodi climatici caldi (rosa) e freddi (celeste) e, in giallo, i minimi solari per i quali noto che ben 3 su 5 cadono all’interno della LIA (Spöorer, Maunder, Dalton), uno (Wolf) è appena precedente e adiacente alla LIA e solo il minimo di Oort si trova all’interno del periodo caldo medievale (MWP).

Proprio ieri (7.4.22) ho sentito, in un gioco televisivo, che la LIA è caratterizzata da “bassa attività solare”: è vero ma in dettaglio, da tre tre episodi di bassa attività solare che complessivamente hanno causato le temperature inferiori ma anche le forti oscillazioni, caratteristiche di questo periodo.


Fig.2: La serie di figura 1 inserita in un contesto di bande climatiche. Si notano le diminuzioni di temperatura durante i minimi solari di Oort, Maunder e Dalton mentre durante i minimi di Wolf e Sporer le temperature mostrano un andamento crescente in media, attorno allo zero nel primo caso e attorno a valori inferiori nel secondo. M.M. indica il massimo solare moderno (1914-2008 CE).

A differenza di quanto si può osservare in altre aree, l’MWP sulle Alpi sembra definito da temperature mediamente in salita che però partono da valori bassi (anomalie anche inferiori a -1°C). La banda in verde chiaro indica il periodo del massimo solare moderno (M.M., dal 1914 al 2008) con anomalie attorno allo zero e con oscillazioni non troppo diverse da quelle dei periodi precedenti.

Gli autori, per un paio di anni specifici: il freddo 1632 (tarda vendemmia in Borgogna) e il 1639 (piuttosto dolce nella stessa regione) fanno riferimento alla serie GHD (Grape Harvest Date), cioè alle date di vendemmia in Borgogna (per il pinot nero) pubblicate da Chuine et al. (2004) e riferite all’arco temporale 1360-2000.

Invece di seguire la stessa linea, ho preferito confrontare JJA con l’intera serie di temperature derivate da GHD e con ETA, l’anomalia di temperatura media europea (Mariani e Zavatti, 2017) dal 1655 al 2020, disponibile anche su CM. Il confronto, in figura 3, viene fatto tra le serie filtrate e tra gli spettri delle serie originali per evitare le difficoltà di lettura di un grafico equivalente alla figura 2 che contenga i dati originali.


Fig.3: Confronto tra la serie detta JJA (figura 1) e le due serie: GHD (derivata dalla serie delle date di vendemmia nella regione del Bordeaux, Chuine et al. 2004) e ETA (European Temperature Anomaly, media di 29 stazioni europee descritta in Mariani e Zavatti, 2017 e disponibile nella barra laterale di CM).

Dalla figura 3 risalta il fatto che in Borgogna non si nota un periodo equivalente alla LIA ma un periodo, tra il 1360 e il 1730, di anomalie più elevate di quelle alpine e, al suo interno dal 1450 al 1625, un intervallo di anomalie inferiori (la LIA in Borgogna?). Dopo il 1730 le tre serie diventano molto simili.

Gli spettri sono semplicemente diversi: a volte si assomigliano, altre volte no e credo si debba prendere atto che le serie derivano da situazioni fisiche diverse che reagiscono all’influenza climatica in modo differente.

In conclusione, a me sembra che il lavoro di Corona e collaboratori sia buono e che la loro serie di anomalie estive sulle Alpi sia attendibile (anche nella versione deformata della mia digitalizzazione). L’unico rammarico è il fatto che i dati originali non siano direttamente disponibili.

Bibliografia
  • Chuine I., Yiou P., Viovy, N., Seguin, B., Daux, V., Le Roy Ladurie, E.: Grape ripening as a past climate indicatorNature, 432, 289-290, 2004. https://doi.org/10.5194/cp-6-379-2010.
  • C. Corona, J. Guiot, J. L. Edouard, F. Chalie, U. Buntgen, P. Nola and C. Urbinati: Millennium-long summer temperature variations in the European Alps as reconstructed from tree rings Clim. Past, 6, 379-400, 2010. https://doi.org/10.5194/cp-6-379-2010
  • Mariani L., Zavatti F.: Multi-scale approach to Euro-Atlantic climatic cycles based on phenological time series, air temperatures and circulation indexes Science of the Total Environment, 593-594, 253-262, 2017. doi:10.1016/j.scitotenv.2017.03.182

Temperatura e pressione alla base antartica Amudsen-Scott (South Pole)


Source: 14 Aprile 2022; articolo di Franco Zavatti

La base antartica di Amudsen Scott è stata costituita nel 1956, in occasione dell’anno geofisico internazionale (IGY) e ha prodotto (tra le altre, numerose, ricerche) dati meteorologici dal 1957. Dal 1975 al 2010 la sede principale è stata trasferita in una “cupola geodetica” e, ad iniziare dal 2008, è stata costruita la nuova (ed attuale) sede modulare per permettere variazioni nel personale, e con accorgimenti tali da favorire l’asportazione da parte del vento degli accumuli di neve.

In un post su CM Massimo Lupicino cita, per aver usato parti del dataset, i lavori di Lazzara et al., 2012 e di Clem et al., 2020, criticando quest’ultimo soprattutto per una postilla finale.

Anche per verificare lo stato dell’arte a South Pole ho scaricato la serie completa di temperatura superficiale e di pressione atmosferica dal sito https://legacy.bas.ac.uk/met/READER/surface/ (il link ai file numerici da scaricare si trova in fondo ad ogni pagina web, in posizione non facilmente immaginabile).

Nel sito di supporto questi file sono identificati dal prefisso “met” (mett, metp, met-temp, met-press) a ricordare il met-office inglese.
Al CDIAC (Carbon Dioxide Information Analysis Center) seguendo il link doi:10.3334/CDIAC/cli.ndp032, è possibile trovare, tra le altre, la serie della temperatura media dell’Antartide che qui userò come confronto con i dati MET e le serie di temperatura e di pressione dal 1957 al 1999 di South Pole.

Ho anche digitalizzato le figure di Lazzara et al. ed analizzato le sue temperatura e pressione: questi dati non sono però disponibili perché ho ritenuto opportuno non aumentare la confusione, aggiungendo serie a serie (in realtà pezzi parzialmente diversi della stessa serie) e ho deciso di utilizzare solo la serie ufficiale disponibile al BAS (British Antarctic Survey), citata sopra.

In figura 1 riporto la serie della temperatura di South Pole:


Fig.1: Serie “met” di temperatura di Amudsen-Scott South Pole.

Il fit lineare dell’intera serie mostra una salita media di (5.8±5.3)10-3 °C per anno, per la verità non troppo significativa. L’alto valore del p-value (la “bassa” significatività) si spiega con la struttura della serie che in realtà è composta di due serie distinte: una, dal 1957 al 2000, in netta diminuzione al ritmo di (-2.48±0.07)10-2 °C per anno, circa 5 volte la pendenza media, molto significativa, e l’altra, dal 2001 al 2020, e anch’essa molto significativa, in aumento al ritmo di (6.4±3.3)10-2 °C per anno, circa 10 volte la pendenza media dell’intera serie.

In figura 2 mostro il grafico del suo suo spettro Lomb nel quale si osserva una “ondulazione” (non un vero e proprio massimo spettrale) attorno a 30 anni, una debole indicazione di una possibile oscillazione di tale periodo, un massimo di bassa potenza a circa 15 anni e poi solo la presenza di massimi spettrali tipo-ENSO (periodo 2-10 anni): è difficile immaginare un’influenza diretta delle acque del Pacifico equatoriale al centro del continente antartico ma certamente le tele-connessioni tramite la circolazione atmosferica hanno un peso determinante, anche osservando che questi massimi spettrali portano con sé potenze tra le maggiori in tutti gli spettri (escludendo le oscillazioni annuale e semi annuale).


Fig.2: Spettro Lomb delle serie di temperatura di figura 1 e relativo ingrandimento della sezione di alta frequenza.

Se torniamo alle periodicità di 30 e 15 anni, possiamo aggiungere quella di 7.6 anni a costituire una triade di possibili armoniche in cui si fa notare la mancanza di 3.8 anni quale quarto elemento. Quest’ultima periodicità è presente nello spettro della pressione di South Pole (figura 4) e, con bassa potenza, in quello della temperatura antartica (figura 6).

La pressione atmosferica, pur essendo in debole diminuzione complessiva di (-1.05±0.97)10-2hPa per anno, mostra una fase iniziale in forte crescita (~12 volte la pendenza media).


Fig.3: Serie annuale di pressione atmosferica nella base Amudsen-Scott. Sono mostrati anche i fit lineari dell’intera serie (verde) e dal 1957 al 1975 (blu).

Fig.4: Spettro Lomb della pressione atmosferica alla base Amudsen-Scott.
Temperatura superficiale media dell’Antartide

Sempre al CDIAC, si trova, con il nome di table2.txt, la temperatura media mensile dell’Antartide sotto forma di anomalia rispetto al periodo 1961-90. Il file usato nel post, derivato da table2.txt, è meant-mo.dat, visibile in figura 5 e per il quale viene mostrata anche la serie mensile.


Fig.5: Serie mensile e annuale (in rosso) della temperatura superficiale media nell’intero continente antartico. Nel quadro inferiore sono mostrati il fit lineare della serie completa (verde), quello dal 1957 al 1975 (blu), quello dal 1957 al 1976 e i loro parametri statistici.

A differenza di quanto succede a South Pole, la temperatura media superficiale dell’intero continente mostra una tendenza a salire. Con un’operazione simile a quella di figura 1 (e altrettanto discutibile, vista la possibilità di scelta arbitraria per l’inizio e la fine delle sottoserie) cerco di mostrare (fit lineare di colore blu, poco significativo, come si vede dal p-value) che la salita, dopo il 1976, subisce un rallentamento che porta le temperature a non crescere ulteriormente, anche se all’interno di ampie fluttuazioni. Nello stesso tempo la parte iniziale della serie (dal 1957 al 1977) mostra una netta crescita (molto significativa, linea celeste) con pendenza più di tre volte quella media.

Un sistema diverso di analizzare la serie è quello di osservare, ad esempio nei dati annuali del quadro superiore (linea rossa), la presenza di almeno tre punti di interruzione (break points) nel 1960, 1976, 1993 circa, che rappresentano la fine di un precedente periodo di crescita e l’inizio di uno nuovo che però parte da una temperatura più bassa, anche di un grado o più in uno o due anni, rispetto alla parte finale del periodo precedente. Quest’ultimo modo di descrivere la serie trova un importante riscontro nello spettro (figura 6), in cui uno dei massimi principali ha il periodo di 17.5 anni, praticamente la distanza tra i tre break point.


Fig.6: Spettro Lomb della serie di anomalia annuale media in Antartide.

Per maggiore chiarezza raccolgo i principali i massimi spettrali nella tabella successiva.

Si osserva che i periodi dei massimi tipo ENSO sono largamente presenti nelle tre serie, a confermare l’influenza dell’oscillazione del Pacifico equatoriale sull’intero continente.

Conclusioni

Non sarebbe necessario sottolinearlo, ma quanto descritto in questo post è in contrasto con l’ipotesi di una temperatura continuamente crescente su tutto il globo, condizionata da un’altrettanto sempre crescente (per colpa dell’uomo) concentrazione di CO2, gas ben distribuito nell’intera atmosfera planetaria.

E, dimenticavo: tirare in ballo le fluttuazioni climatiche naturali (locali o meno), come si legge nell’articolo di Clem et al., 2020 (che scrivono: “decadal variability exceeds the anthropogenic signal by a factor of three, further supporting our conclusions that extreme decadal variability has masked anthropogenic warming across interior Antarctica during the twenty-first century”), solo quando fa comodo ad una narrativa, aprioristicamente assunta come vera e indiscutibile, non è una pratica scientificamente corretta.

Aggiungo che attribuire un riscaldamento osservato al cambiamento climatico di origine antropica significa poter mostrare un aumento continuo a partire dall’inizio della rivoluzione industriale, ovvero una costanza o quasi della temperatura dal 1850 alla maturità della produzione industriale (anni 60-70) e poi un aumento (graduale e magari anche accelerato) da allora, non un aumento improvviso dal 2000 come si osserva in figura 1 (ma quale anthropogenic warming … during the twenty-first century?).

Vorrei anche far notare che in nessuno degli spettri (di South Pole o dell’Antartide e della temperatura o della pressione) compare un massimo spettrale di periodo 10 anni, per cui non è chiaro da dove Clem e colleghi abbiano potuto derivare la “variabilità decennale” di cui scrivono (forse dal massimo a 7.8 anni o da quello di bassa potenza a 8.1 anni?).

Bibliografia
  • Clem, Kyle R., Fogt Ryan L., Turner John, Lintner Benjamin R., Marshall Gareth J., Miller James R., Renwick James A: Record warming at the South Pole during the past three decades. Nature Climate Change, 10, 762-770, 2020. https://doi.org/10.1038/s41558-020-0815-z
  • Matthew A. Lazzara, Linda M. Keller, Timothy Markle, John Gallagher: Fifty-year Amundsen–Scott South Pole station surface climatology , Atmospheric Research, 118, 240-259, 2012. https://doi.org/10.1016/j.atmosres.2012.06.027

Un bagliore solare Major X1.1 erutta dalla regione attiva 2994


Credito immagine: NASA SDO/AIA304

Source: Sunday, April 17, 2022; articolo di The Watchers

Un importante brillamento solare che misura X1.1 al suo apice è esploso dalla regione attiva 2994 appena numerata alle 03:34 UTC del 17 aprile 2022. L’evento è iniziato alle 03:17 UTC e si è concluso alle 03:51.

Durante l’evento è stata prodotta un’espulsione di massa coronale (CME), ma la posizione della regione di origine non favorisce le CME dirette dalla Terra. Questo cambierà nei giorni a venire quando la regione si trasformerà in una posizione geoefficace.

Questo evento è stato associato a uno sweep radio di Tipo II, con velocità stimata di 614 km/s, e a un Radio Burst di 10 cm della durata di 2 minuti, con un flusso di picco di 122 sfu.

Le emissioni di tipo II si verificano in associazione con le eruzioni del Sole e in genere indicano che un’espulsione di massa coronale è associata a un evento di brillamento.

Un’esplosione radio di 10 cm indica che l’esplosione elettromagnetica associata a un brillamento solare alla lunghezza d’onda di 10 cm era doppia o maggiore dello sfondo radio iniziale di 10 cm. Questo può essere indicativo di un significativo rumore radio in associazione con un brillamento solare. Questo rumore è generalmente di breve durata ma può causare interferenze per ricevitori sensibili, inclusi radar, GPS e comunicazioni satellitari.

È stata osservata un’espulsione di massa coronale (CME) nelle immagini SOHO/LASCO C2 a partire dalle 03:48 UTC.


Credito immagine: SWPC/LASCO C2

La regione 2994 e la regione 2993 formano un ammasso di macchie solari attive che hanno prodotto bagliori significativi prima di apparire sul lembo orientale.

L’attività solare dovrebbe essere attiva durante la prossima settimana poiché queste macchie solari migrano attraverso il disco visibile.





NOWCASTING SOLARE: 17 APRILE 2022


Published on by Enzo Ragusa

Previsioni prossime 72 ore

L’attività solare è destinata a restare debole/moderata nei prossimi 3 giorni (18-20 aprile).


TOP EVENTI CICLO 25
  • Record macchie solari giornaliero – Ente SILSO/SIDC Ciclo 25: SSN 147 (22.12.2021)
  • Record macchie solari mensile – Ente SILSO/SIDC Ciclo 25: SSN 78.3 (Marzo 2022)
  • Record numero di Regioni Attive giornaliere del Ciclo 25 = 9: 2907 – 2908 – 2909 – 2911 – 2912 – 2915 – 2916 – 2917 – 2918 (22/23.12.2021)
  • Record Solar Flux giornaliero – Ente NOAA Ciclo 25: 156.0 ore 20:00 – (28.03.2022)
  • Record Solar Flux mensile – Ente NOAA Ciclo 25: 117.0 (Marzo 2022)
  • Top Solar Flares of Solar Cycle 25: X1.5 – Regione 2838 – ore 14:29 UTC (3.7.2021)

REPORT OSSERVATIVO 17 APRILE 2022 ORE 14,15 -15,30 (CET*) – LUNT 50 DOUBLE STACK – ORIENTAMENTO STANDARD DEL SOLE CON EST A SINISTRA

(SEEING III – SERENO)

Davvero pensavate che non ci fosse la sorpresa dentro le “Uova di Pasqua” donateci ieri dal Sole? Quando da noi stava per arrivare l’alba, dopo che la nuovissima 2993 aveva esploso una serie di Brillamenti preparatori fino a M9, la vecchia 2975, ora 2994 ha occupato il centro della scena, sparando un X1,1, terzo Flare più potente del Ciclo 25. La Tempesta Radio seguita all’emissione di Raggi X, ha raggiunto il livello R3, centrando in pieno il Giappone e le zone intorno fino a tutto l’Estremo Oriente e l’Australia, oltre a parte degli oceani Indiano e Pacifico. Poi è tornata una relativa tranquillità e nessuna Tempesta Geomagnetica sarà prodotta sulla Terra a causa di questo evento, pur restando più alti rispetto alla settimana scorsa i valori rilevati, in particolar modo di Solar Flux 10,7 cm., Vento Solare e della Corrente dei Raggi X. Attenzione anche ai Fori Coronali che stanno prendendo piede e si spingono spesso fino a latitudini equatoriali. Ma attendiamo i prossimi avvenimenti, ricordando che siamo ancora distanti da quelli del pur debole Ciclo 24. Vediamo cosa faranno le Macchie entrate e quelle che già premono da dietro, ma ricordo che il resto della superficie solare oggi appariva estremamente calmo anche sotto l’aspetto visivo. Restano aperti tutti i possibili scenari analizzati nei mesi scorsi con sempre maggiori frecce all’arco che punta a un primo Massimo entro l’anno, di un Ciclo con due picchi come il precedente. Occorre comunque prestare attenzione alle sfumature e ai piccoli dettagli perché, come ripeto spesso, la meteorologia solare è complessa e noi siamo ben lungi dall’averne capito i meccanismi.

Oggi ho indicato un valore III per il seeing, ma la trasparenza dell’aria e alcuni brevissimi momenti di turbolenza atmosferica quasi azzerata, mi hanno permesso di salire fino a 39X e per alcuni dettagli anche a 58X. Iniziamo dal quadrante di maggior interesse a Nord-Est con le nuove Aree assai ravvicinate; capiremo meglio nei prossimi giorni, anche perché sembra che ci sia rimasto qualcosa di nascosto dietro, disponibile alla vista tra non molto. La 2994, beta (per ora), 14° sopra l’Equatore, conteneva due Macchie in Penombra disposte in obliquo, dove s’iniziavano a intuire le linee radiali. La maggiore, più alta ed esterna, mostrava un Punto vicinissimo, mentre un secondo l’ho intravisto sopra quella interna. Passando alla 2993, beta (per ora), millimetricamente più interna e circa 8° più a Nord, ho visto una Macchia leggermente più grande, sempre con penombra e accenno di linee di flusso magnetico con un Punto sotto e uno in diagonale verso il bordo a formare un triangolo. Sicuramente in entrambe le Aree c’era dell’altro perché appariva un fondo come di sabbiolina grigia. Stringendo la pressione del Tuning sul telescopio e soprattutto inserendo il filtro Double Stack con banda da<0,500 Å, emergeva invece una brillantezza notevole e apparivano stagliate sul bordo una miriade di piccole esplosioni. Andando verso Ovest, non ho più trovato tracce di Macchie nella 2989, rimasta Plage, esattamente come la 2988 dall’altra parte del Meridiano, sopra il quale al contrario era ancora in vista la 2990, beta, discretamente luminosa. Le Macchie all’interno non erano certamente enormi, ma ho potuto riconoscere le cinque ufficiali di oggi: tre aggregate sul lato Ovest, una spostata a Est e l’ultima verso Sud-Ovest. Insignificanti i Filamenti settentrionali, a parte due piccoli Veli verso il Polo.

A Sud, dopo una Plage entrata dal lato Est, c’era sempre la 2991, alfa, con una Macchia uguale a ieri, a metà strada per raggiungere il Meridiano. Quindi, prossima al bordo Ovest, la 2992, beta, appariva con due Macchie parallele alla circonferenza del Sole, la più alta appena visibile. Da quest’ultima area partiva un Filamento disposto latitudinalmente.

Una bellissima struttura in rapida trasformazione, era rappresentata a Sud-Est da un lungo Tornado scaturito all’interno del disco per fuoriuscire prospetticamente dal bordo e ricadere nuovamente sulla superficie solare. Ulteriori protuberanze di ridotte dimensioni le ho trovate sparse intorno al profilo del Sole. Menziono soltanto due Siepi a Nord Ovest, più estese delle altre, ma non particolarmente elevate.


L’andamento dell’attività solare negli ultimi 14 anni e forecast (linee tratteggiate di colore rosso).
Grafico del centro di raccolta dati SILSO/SIDC

I TEMPI FREDDI stanno tornando, le medie latitudini si stanno stanno stanno RAFFREDDANDO in linea con la grande congiunzione, l’attività solare storicamente bassa, i raggi cosmici che nucleano le nuvole e una corrente a getto meridionale (tra le altre forzature).

Sia il NOAA che la NASA sembrano concordare, se si legge tra le righe, con NOAA che afferma che stiamo entrando in un grande minimo solare ‘in piena regola’ alla fine del 2020, e la NASA vede questo prossimo ciclo solare (25) come “il più debole degli ultimi 200 anni“, con i precedenti spegnimenti solari periodi prolungati di raffreddamento globale qui.

Inoltre, non possiamo ignorare la moltitudine di nuovi articoli scientifici che affermano l’immenso impatto che il Beaufort Gyre potrebbe avere sulla Corrente del Golfo, e quindi sul clima in generale.


I canali dei social media stanno limitando la di Megachiroptera: Twitter, Facebook ed altri social di area Zuckerberg hanno creato una sorta di vuoto cosmico intorno alla pagina ed al profilo che mostra gli aggiornamenti con ritardi di ore.

Megachiroptera non riceve soldi da nessuno e non fa pubblicità per cui non ci sono entrate monetarie di nessun tipo. Il lavoro di Megachiroptera è sorretto solo dalla passione e dall’intento di dare un indirizzo in mezzo a questo mare di disinformazione.

Questo profilo è stato realizzato per passione e non ho nessun particolare motivo per difendere l’una o l’altra teoria, se non un irrinunciabile ingenuo imbarazzante amore per la verità.

NON CI SONO COMPLOTTI

CI SONO PERSONE E FATTI

DOCUMENTATI


2 pensieri riguardo “Mille anni di temperatura estiva nell’arco alpino

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